Fare contrattazione nel terziario di mercato (Volume I e II)

Autore: Giovanni Piglialarmi, Michele Tiraboschi

Anno: 2025

ISBN versione stampata: 9791280922618

20,00 + IVA

In un sistema di relazioni industriali come quello italiano, dove la legge non pone vincoli o controlli sulla attività sindacale, è possibile la presenza di più contratti collettivi per la definizione dei trattamenti economici e normativi di uno stesso settore merceologico.
Nel terziario di mercato sono oltre 250 i contratti collettivi ufficialmente depositati nell’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro. La maggioranza di questi contratti non trova applicazione se non a numeri limitati di aziende e datori di lavoro. Altri contratti sono invece sottoscritti da organizzazioni sindacali minori che cercano, spesso con successo, di attirare l’attenzione degli imprenditori e dei loro consulenti abbattendo drasticamente il costo del lavoro, cioè stabilendo trattamenti retributivi e normativi peggiorativi per i lavoratori. Il fenomeno è noto come dumping contrattuale e questo spiega, nel gergo delle relazioni industriali, l’impiego della espressione “contratto pirata”. Gli autori del volume, oltre a dimostrare, per circa sessanta figure professionali del terziario di mercato, gli evidenti divari retributivi e normativi tra contratti con effettivo radicamento nel nostro sistema di relazioni industriali e “contratti pirata”, cercano di tracciare la strada per un contrasto dal basso di questo fenomeno, evidenziando ai consulenti del lavoro e a tutti gli operatori del mercato del lavoro che sono i sindacati storici quelli che possono fregiarsi, non solo del requisito della maggiore rappresentatività comparata, ma anche porsi come baluardi dei principi costituzionali di libertà sindacale e, indirettamente, della stessa libertà di iniziativa economica privata. La funzione essenziale del contratto collettivo è infatti, al tempo stesso, quella di tutelare la persona che lavora e anche i delicati equilibri di una leale e corretta competizione tra le imprese, che non faccia cioè del costo del lavoro un fattore di bassa competitività che danneggia, nel lungo termine, non solo i lavoratori ma le stesse imprese, i settori produttivi, i territori e l’intera società.